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Considerazioni ed Elementi essenziali per la costituzione di un presidio ambulatoriale dedicato alla prevenzione e cura delle complicanze diabetiche.
 

Pubblichiamo un interessante  articolo su come organizzare un ambulatorio del piede diabetico

L’articolo è scritto dal Dott Bellavere , massimo esperto sul diabete e sul piede diabetico.

Il Dott Bellavere inizierà a breve una collaborazione con noi in modo da continuare al meglio la strategia di diagnosi e terapia delle complicanze sul piede diabetico

Considerazioni ed Elementi essenziali per la costituzione di un presidio ambulatoriale dedicato alla prevenzione e cura delle complicanze diabetiche.

Il diabete mellito è una malattia determinata da carenza (nel Tipo 1) o alterato utilizzo (nel tipo 2) dell’ormone che principalmente regola il livello di glicemia: l’insulina. Esso (sia nel tipo 1  e, soprattutto, nel tipo 2) viene considerato oggi, a buona ragione,   malattia epidemica risultando ora  la sua prevalenza stimata a oltre il 10 %  nelle popolazioni occidentali con valutazione di incremento di prevalenza a oltre il 50% nei prossimi 5 anni nelle popolazioni in via di sviluppo.

Tra le motivazioni di tale diffusione di malattia, appunto considerata ora epidemica, si annovera il cambiamento di stile di vita delle popolazioni (non più portate ad esercitare lavoro fisico) la globalizzazione alimentare,  la aumentata spettanza di vita (diabete della senescenza).

Pure le caratteristiche epidemiologiche tra i vari tipi di malattia diabetica sono profondamente cambiate negli ultimi 30  anni cosicche’ la prevalenza percentuale del diabete tipo 2 (particolarmente correlato ai fenomeni individuali appena citati), rispetto alla prevalenza percentuale del tipo 1 (determinato invece principalmente da cause infettive e/o infiammatorie),  è cambiata da un rapporto  30/50 a un rapporto 90/10. In pratica la quasi totalità dei diabetici attuali, contrariamente al recente passato,  non è insulino dipendente, è obesa, presenta steatosi epatica, ipertensione arteriosa, macroangiopatia, cardiopatia, neuropatia mista, quando invece si era fino a poco tempo fa abituati a considerare la microangiopatia come maggiore complicanza di malattia perché appunto correlata al tipo 1, in passato preponderante .

Il quadro clinico della malattia diabetica è quindi ora del tutto mutato e divenuto assai più complesso rispetto a prima sicchè , ad esempio, si definisce in USA il diabetico CHE (“ Coronary Heart Equivalent”)  dato che, secondo recenti studi, in circa il 50% dei diabetici si sottende una malattia coronarica significativa (nel 30 % dei casi silente!! ). Così pure il fatto che il diabete tipo 2 sia tipicamente correlato all’età più avanzata e all’obesità, lo rende più esposto a complessità diagnostica e terapeutica non essendo più l’ipoglicemizzante il solo o principale farmaco ad essere considerato nel trattamento ma, anzi, dovendosi collocare esso nel più nutrito corollario di altri farmaci: coronarici, antiipertensivi, neurologici, spesso da introdurre con cautela per possibili interazioni negative con i presidi ipoglicemizanti (vedi il caso sulfaniluree in cardiopatici). In proposito, ci si è dovuti recentemente arrendere all’evidenza, emersa da accreditati studi, persino della scarsa (se non nulla)  efficacia dei farmaci ipoglicemizzanti nel prevenire complicanze cardiovascolari nei diabetici tipo 2 (vale a dire in quasi il 90% dei diabetici!) quando non associati ad altri presidi terapeutici sopra citati; e si è dovuto persino contemplare l’inefficacia dello stesso  trattamento insulinico e addirittura la potenziale nocività di alcuni ipoglicemizzanti orali (sulfaniluree) nel trattamento del diabete tipo 2 oggi , come detto di gran lunga prevalente così da configurare un radicale capovolgimento dei canoni terapeutici che fino a poco tempo fa prevedevano come trattamento ottimale uno stretto controllo glicemico  (“tight control”) a favore ora  di un più blando controllo basato su esigenze individuali (tailored control) ove il livello di glicemia da raggiungere viene “tarato” in base a una molteplice serie di valutazioni di ordine clinico.

Alla citata nuova complessità clinica si associa quindi, intuibilmente, una altrettanto nuova complessità  diagnostica e terapeutica della malattia tale da portare spesso il curante a un vero e proprio disorientamento professionale o a una sorta di rassegnazione nel  limitarsi al trattamento alla sola glicemia (ahimè, i vituperati glicemologi!)  con danni anche irreparabili per la salute di questi pazienti.

In effetti, il paziente diabetico assume le caratteristiche sempre più marcate di un soggetto affetto da polipatologia in cui il dimenticato ruolo dell’”internista” viene spesso rievocato proprio perché, in qualche modo, rappresenta il sanitario con competenze polispecialisiche  che è uso a “trarre sintesi” da molteplici valutazioni di specialistiche aventi però grado di valenza da porre in ordine di priorità nel trattamento.

Inoltre, paradossalmente, nella cura più moderna del diabetico si ripescano antichi valori diagnostici (proprio antichi?) quali l’accurata anamnesi e obiettività, piuttosto che raffinate soluzioni tecnico-diagnostiche spesso costosissime e altrettanto poco concludenti dal punto di vista diagnostico. Qualche esempio? Una accurata anamnesi ha valenza di molto superiore a qualsiasi tecnica strumentale diagnostica nel caso di ischemia coronarica silente, che si ritiene essere presente in ben il 20% dei diabetici. Una accurata obiettività è in grado di fornire attendibile diagnosi e grado di gravità  di neuropatia, principale complicanza invalidante nel diabetico, più di qualsiasi EMG. E ancora, un recentissimo studio (DIAD Study) ha dimostrato che la semplice valutazione di variazione di ritmo cardiaco durante manovra di Valsalva  standardizzata è più discriminante della costosissima scintigrafia cardiaca da sforzo nella valutazione di cardiopatia ischemica silente.

Quanto le considerazioni sopra esposte vadano a riflettersi su una adeguata terapia della malattia è cosa del tutto intuibile…

Nella buona cura del paziente diabetico occorre quindi tradurre in pratica le novità prodotte dalle  dagli studi recenti sopra citati e fornire una dimensione risolutiva alla complessità raggiunta da detta patologia con un approccio diagnostico-terapeutico finalizzato alle poliedriche complicanze della malattia evitando di limitarsi al pedissequo (e vorrei dire dannoso) controllo della sola glicemia

In sostanza, per costituire un servizio ambulatoriale qualificato per la diagnosi e complicanze del diabete occorre:

“In primis” operatori di grande esperienza clinica con nozioni di varia patologia correlata al diabete che abbiano confidenza  con strumentazione relativamente  semplice ma essenziale ( o afferenze a dati strumentali)  quale a seguito riportata:

a)    ECG (impensabile oggi che un buon diabetologo non abbia nozioni di Elettrocardiografia)

b)    Oftalmoscopio (impensabile oggi che un buon diabetologo non abbia nozioni di retino grafia)

c)     Ecografo con sonda addominale, per “small parts” e per indagini vascolari (se non utilizzato direttamente dal diabetologo egli deve avere comunque chiara confidenza con le interpretazioni dei dati provenienti da detta strumentazione)

d)    Set per valutazione di Neuropatia  Periferica (diapason e/o biotesiometro che il diabetologo deve sapere usare personalmente con chiara affidabilità) e Autonomica (Finapres per misurazione pressoria battito a battito, Telemetria per valutazione test cardiovascolari, con relativo software, che il diabetologo, quando non coinvolto personalmente nelle procedure diagnostiche, deve saper interpretare con sicurezza).  

e)    Strumentazione chirurgica minimale di base e strumento per termovalutazione e disposizione di microflusso zonale per cura e trattamento di piede diabetico.

Qualora il diabetologo non sia in grado di soddisfare nelle procedure diagnostiche i punti sopra elencati difficilmente sarà in grado di poter fornire adeguata assistenza clinica al paziente che gli si rivolge. Tale affermazione potrà forse ancora sorprendere alcuno ma, invero, essa è oggi incontestabile e in tutti i migliori centri di diabetologia è divenuta principio inderogabile.

Per altro, come può essere notato, l’impiego economico totale per costituire in ambulatorio diabetologico dedicato che ottemperi ai punti sopra esposto è assi modesto dato che  i relativi costi possono assumersi approssimativamente in:

a)    2000 euri

b)    80 euri

c)     7000 euri

d)    1000 (biotesiometro) + 34000 (Finometer) + 6000 (telemetria)  + 0 (software nel caso di  quello di proprietà Thomaseth con inf. Bellavere)

e)    Imprecisata e comunque inferiore a 10000

 

n.b  Quanto in c) può essere successivamente eventualmente corredato di Tilt Test Utile anche in cardiologia) con software dedicato e necessita di uno spazio  relativamente limitato ( attorno ai  10 m2) .

 

Federico Bellavere