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LE LESIONI TROFICHE DEGLI ARTI INFERIORI: LORO TERAPIA CON LA CAMERA DISTRETTUALE DI MADEYSKI

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LE LESIONI TROFICHE DEGLI ARTI INFERIORI: LORO TERAPIA CON LA CAMERA DISTRETTUALE DI MADEYSKI

Autori:Amato G.*,Madeyski P.**, Babbo G.A.**, Bartelloni A**.

*Servizio di Anestesia e Rianimazione Casa di cura Sileno e Anna Rizzola,San Donà di P.,Respon. Dr.G.Amato

** Sezione di Chirurgia Casa di cura Sileno e Anna Rizzola, San Donà di P.,Respon. Dr.P.Madeyski

INTRODUZIONE

Le ulcere trofiche degli arti inferiori rappresentano una delle patologie che più frequentemente si  riscontrano nei pazienti anziani (Amato).

Vari studi evidenziano una frequenza variabile tra lo 0.4% e il 4-5% tra gli ultrasessantenni; la cronicità della malattia comporta, secondo gli autori inglesi, costi elevati valutabili tra le 200 e le 4000 sterline  (pari a 300-6000  euro) per il trattamento di un solo malato per 4 mesi. A tali cifre vanno ovviamente aggiunti i costi familiari e sociali.

I tempi necessari per ottenere la guarigione di tali lesioni sono molto lunghi e variabili secondo la malattia di base: la durata media di un ulcera varia è di circa 26 settimane con un range variabile tra le 4 settimane e i 30 anni  e in molti casi non è possibile ottenere la completa chiusura della lesione. Nel 46% dei pazienti il decorso supera le 26 settimane e nel 15% i due anni (Amato).

Le sedi più colpite sono in ordine di frequenza le facce mediale, laterale, anteriore  della caviglia, i piedi e la superficie posteriore della caviglia (Amato).

La storia evolutiva di tali lesioni è caratterizzata da decorso cronico ed ingravescente,da facili recidive,da una prognosi quoad valetudinem severa con pesanti ripercussioni sulla vita lavorativa di tutti i giorni e sulla vita di relazione con pesanti costi sociali.

Per ulcera s’intende una perdita di sostanza legata a modifi-

cazioni emodinamiche, emoreologiche e coagulative:nella sua genesi è fondamentale l’impegno del microcircolo che può essere primitivo o secondario e che determina una compro-missione del trofismo tissutale. Le ulcere rappresentano  spesso un epifenomeno di numerose patologie che hanno alla base un apporto ematico insufficiente con conseguente ipossia ed infezione(Bimonte).

Numerose sono le classificazioni delle ulcere e quella riportata in diapositiva è una delle tante.

Comunque indipendentemente dalla patologia di base, la os-simetria transcutanea ha evidenziato che a livello delle le-sioni vasculopatiche la pO2 arriva a valori di 5-10 mm di Hg che sono incompatibili con la vita delle cellule.Inoltre i leucociti proliferano e svolgono la loro attività fagocitica a pO2 di 30-40 mm di Hg ed è evidente che una situazione di ipossia facilita la scarsa attività dei leucociti con pericolo di infezioni. Anche la sintesi del collageno a partenza dai fibroblasti non può prescindere dall’ossigeno: solo in presenza di ossigeno infatti si può formare un  collagene ottimale  partendo da una tripletta di amoniacidi idrossilati. In condizioni di ipossia avremo dunque un col-lagene immaturo e poco stabile con inevitabili problemi di cicatrizzazione(Bimonte,Oriani,Petrolati,Marrone).

Quindi indipendentemente dalle cause che hanno provocato la formazione dell’ulcera,traumi,turbe del circolo sia arterioso  che venoso,per ottenere la riepitelizzazione sono necessari:

a)un ottimale apporto di Ossigeno,

b)una completa detersione della piaga,

c)una stimolazione cellulare,

d)una buona perfusione ematica.

Allo scopo di raggiungere queste quattro condizioni vengono proposte ed utilizzate numerose  terapie  ma tutti noi sap-piamo quanto i risultati siano molto spesso deludenti per il medico ed il paziente: i tempi necessari per ottenere la chiusura della lesione sono sempre molto lunghi e in molti casi non è possibile ottenere la completa guarigione della lesione.

Una terapia che si è molto affermata in questi ultimi anni è la cosiddetta ossigenoterapia in camera iperbarica che è  basata sulla respirazione di ossigeno ad alta pressione in apposite camere dette iperbariche. Essa agisce con due meccanismi (Oriani, Marrone):

a)  aumento della quota di O2 disciolto che si sostituisce funzionalmente all’ossigeno legato alla Hb quando questo sia in difetto per mancanza della stessa (anemia) o per incapacità funzionale (intossicazione da CO),

b)  ripristino  della diffusione dell’O2 dai capillari alle cellule laddove questa è impedita o per diminuzione della perfusione ematica o per ispessimento dei mezzi di transito.

Il fine ultimo è dunque quello di portare ossigeno in quantità adeguate alle necessità metaboliche dei tessuti.

Tale terapia si è certamente rivelata efficace in molte sindromi ma purtroppo la sua pratica presenta numerosi svantaggi e precisamente:

  • l’esistenza di pochi  centri,
  • problemi di trasporto per i pazienti,
  • incapacità di molti pazienti a sopportare la terapia per motivi psicologici o per altre patologie,
  • costi elevati.

Rifacendosi alla bibliografia esistente(Van, Padberg, Williams, Fisher, Kaufman, Ignacio, Hammarlund,)e nel tenta-tivo di ovviare a tali problematiche, presso la nostra casa di cura i colleghi chirurghi hanno studiato e messo a punto una piccola camera, la camera distrettuale normobarica di Madeyski

Tale apparecchiatura, così chiamata per la “somiglianza” con la camera total body, è nata allo scopo di poter sottoporre alla ossigenoterapia solo l’arto interessato mantenendo lo stesso in una atmosfera di ossigeno in elevata concentrazione monitorizzando inoltre la pressione, l’umidità della miscela gassosa e se necessario la concentrazione dell’ossigeno al-l’interno della camera stessa.

La camera è costituita da un contenitore in plexigas a forma di parallelepipedo, della dimensioni di cm 70 per 30 per 35, diviso in due parti, la superiore e la inferiore, scorrevoli lungo un braccio  che possono essere chiuse tramite un apposito fermo; l’arto viene introdotto da un lato attraverso un’apertura circolare all’interno della quale possiamo applicare delle guarnizioni circolari intercambiabili, con foro di diametro variabile, di polistirolo o di gomma allo scopo di dare un tenuta ermetica a tutto il dispositivo.

Sulla superficie superiore della camera troviamo un indicatore di pressione ed un igrometro per misurare la pressione e l’umidità all’interno della camera. Il tutto è alimentato da una batteria ricaricabile a rete  tramite cavo che va rimosso durante il trattamento stesso.

Da notare infine che nella camera esiste una valvola ad acqua che ha lo scopo di far uscire il gas quando la pressione all’interno della camera supera quella prefissata dall’ope-ratore: questo perché pressioni elevate comprometterebbero il circolo già di per se deficitario.

L’ossigeno umidificato, introdotto tramite un ugello posto all’estremità opposta dell’apertura suddetta, viene insuf-flato sulla lesione tramite un condotto flessibile e orientabile dotato di una punta con diffusore del gas e posto a 5 cm di distanza dalla lesione stessa.

A livello della lesione si ottiene così una  concentrazione di O2 del95% mentre l’ossigeno disciolto nel sangue non si modifica a meno che non si faccia respirare il malato con una mascherina di ossigeno.

Numerosi sono i vantaggi di tale dispositivo e precisamene:

a)  il basso costo con conseguente elevato numero di macchine,

b)  le dimensioni e il peso ridotti e conseguente facilità di trasporto della camera anche al domicilio dei pazienti,

c)  nessuna controindicazione locale e sistemica,

d)  ottima compliance dai parte dei pazienti.

In effetti l’uso di tale camera sia presso la nostra casa di cura, sia presso altri centri, ospedalieri e non, si è rive-lato molto soddisfacente.

La nostra personale casistica comprende per il periodo 2000-giugno 2003, 196 pazienti affetti da lesioni trofiche degli arti inferiori di varia origine, sottoposti presso altri centri ai più svariati trattamenti locali e sistemici senza successo.

I pazienti erano così divisi:

1)  140 pazienti con ulcere da stasi venosa,

2)  12 ulcere arteriose,

3)  5 ulcere traumatiche,

4)  3 ulcere collagenopatiche,

5)  22 ulcere diabetiche,

6)  1 ulcere postchemioterapia,

7)  13 pazienti con trapianti cutanei.

I pazienti sono stati sottoposti a sedute giornaliere di una ora e talora a due sedute al dì; il numero di sedute è stato variabile da caso a caso ma mai inferiore alle trenta  e superiore alle novanta.

La pressione all’interno della camera è stata mantenuta intorno a quella atmosferica e l’umidità intorno al  60- 80%  con punte del 96% in qualche caso.

I risultati sono stati più che soddisfacenti in termini di:

1)riduzione delle secrezioni e detersione delle lesioni,

2)miglioramento della sintomatologia soggettiva(dolori, bru-ciori, prurito,ecc),

3)comparsa precoce di un buon tessuto di granulazione,

4)riduzione dei diametri della lesione fino alla chiusura completa nel 60% dei casi,

5)effetto favorente l’attecchimento di trapianti nel 20% dei pazienti.

Nel rimanente 20% dei malati il risultato è stato nullo. 

Nella diapositive seguenti potete vedere alcuni casi trattati con la camera distrettuale.

Forti della esperienza positiva dei colleghi chirurghi abbiamo provato a modificare la camera distrettuale uti-lizzando non più l’ossigeno ma una miscela di ossigeno-ozono. In pratica abbiamo pensato di sostituire la metodica del sacchetto, che tante soddisfazioni ci ha dato, ricordando an-che una relazione di un collega israeliano che, con un dispositivo analogo alla camera di Madeyski, presentò ad un convegno risultati estremamente brillanti.

Ricordiamo che gli effetti dell’ozono locale sono  duplici in base alle concentrazioni usate e precisamente:

-ad alte concentrazioni,intorno ai 70-80 gamma per ml,si ha una azione di disinfezione e detersione della lesione stessa,

-a basse concentrazioni,10-20 gamma per cc, si ha una sti-molazione dei processi riparativi.(Matassi, Viebahn, Bocci, Rokitansky).

Lo scopo di questo nostro studio è quello di valutare l’efficacia di questa camera distrettuale “modificata”: da circa tre mesi infatti abbiamo quindi cominciato a trattare alcuni pazienti con la camera distrettuale ad ozono e de-sideriamo esporre con questa  relazione, che vuole solo essere una nota preliminare, i primi risultati ottenuti sia pure con una casistica molto limitata.

METODICA E CASISTICA

Il protocollo, derivato dalle esperienze precedenti con la camera con ossigeno e dalla ozonoterapia locale con sacchetto, prevede l’esecuzione di 5 sedute settimanali così effettuate:

a)  si mette l’arto dentro la camera  dopo aver  ben deterso e cruentato la lesione anche chirurgicamente e dopo aver bagnato la stessa con acqua bidistillata, dal mometo che è ben noto che l’ozono agisce meglio in ambiente umido,

b)  mediante la pompa del vuoto del generatore di ozono si realizza successivamente il vuoto nella camera e quindi si riempie lo stesso con una miscela di ossigeno-ozono prodotta dalla macchina stessa. In genere nelle prime sedute si utilizzano le alte concentrazioni allo scopo, come già detto, di disinfettare e detergere la lesione e successivamente le basse concentrazioni per sfruttare l’effetto trofico locale. Il trattamento dura circa ses-santa minuti come nella terapia con il solo ossigeno e il doppio del tempo di un trattamento con il sacchetto.

L’apparecchio che noi utilizziamo è il MULTIOSSIGEN MEDICAL 93 MULTITECH che risponde ai requisiti di legge stabiliti dal Ministero della Sanità  e in cui variando i programmi e la pressione del gas è possibile raggiungere concentrazioni di ozono che vanno da 1 gamma a cento gamma per ml.

I pazienti trattati in questi tre mesi sono stati 5 di cui tre affetti da ulcere flebostatiche e 2 da ulcere diabetiche; tutti i malati erano già stati sottoposti a numerosi tratta-menti presso altre strutture senza alcun esito positivo e la durata media della malattia era di due anni e tre mesi: Nelle diapositive potete vedere l’evoluzione delle lesioni.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Certamente alla luce di questi pochi casi è difficile trarre delle conclusioni, ma riteniamo di poter dire che l’impiego della camera distrettuale con l’ossigeno-ozono pare mi-gliorare i risultati ottenuti con il solo ossigeno o con la stessa miscela somministrata mediante sacchetto; tale miglio-ramento riguarda sia la percentuale di successi che la rapidità della guarigione

Personalmente crediamo che alla base di tale progresso ci sia a)una più efficace azione dell’ozono rispetto al solo ossigeno,

b)un potenziamento dell’azione dell’ozono dovuta sia alla umidità che si crea all’interno della camera che alla riduzione della pressione esterna sui tessuti rispetto a quella che si ottiene utilizzando il sacchetto.

A fronte di tali risultati assai confortanti abbiamo però dovuto affrontare tutta una serie di problemi che speriamo di poter risolvere.

Primo fra tutti il raggiungimento di una chiusura ermetica della camera essenziale

a)per il raggiungimento del vuoto necessario per evitare la diluizione della miscela di ossigeno ozono,

b)per evitare disturbi e malessere al personale infer-mieristico e al paziente stesso sia durante il trattamento sia al termine dello stesso all’apertura della camera. 

Un altro problema è rappresentato dal tempo necessario per svuotare la camera dell’aria in essa contenuto e succes-sivamente per riempirla: da calcoli fornitici dalla ditta sono necessari 7 minuti circa per ognuna della due fasi suddette.

Un terzo limite deriva dalla maggior complessità della metodica rispetto a quando si usa solamente l’ossigeno in quanto in questo caso è necessario disporre anche di un generatore di ozono: tale necessità ne preclude l’uso domici-liare e ne aumenta notevolmente i costi. Tuttavia, qualora venisse confermata la grande efficacia del metodo, si potrebbe pensare alla creazione di appositi centri in cui trattare, almeno nelle fase iniziali, le lesioni trofiche per poi continuare a domicilio con altri presidi quali l’olio ozonizzato o la camera stessa con il solo ossigeno.

 

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